Asciano, Chiesa del Giardino
17 dicembre 2001- 7 gennaio 2012
Le opere che Francesco Del Casino (Siena, 1944) propone per la mostra si legano a doppio filo al suggestivo ambiente della Chiesa del Giardino. Lo spazio sacro, infatti, è da sempre il fulcro della vita di una comunità nonché sua specifica espressione; quale miglior luogo, allora, per collocare un’arte che ha come più intima caratteristica quella di parlare alla e della società? La stessa scelta del soggetto non è affatto casuale: temi biblici ed evangelici che furono del Caravaggio (Il sacrificio di Isacco, la Cena in Emmaus, il San Giovanni Battista, l’Ecce homo, la Natività) e a cui Del Casino guarda con occhi nuovi .
Come è noto, l’artista senese è irresistibilmente attratto dalla pratica di reinterpretare le opere di alcuni grandi maestri del passato. Nella sua vasta produzione, oltre agli echi del ‘realismo sociale’ di Guttuso e dei muralisti messicani che connotano i primi saggi pittorici, troviamo costanti riferimenti a Van Gogh, Ligabue e, ovviamente, Picasso. Ma se in questi casi l’artista guarda alla loro opera per coglierne elementi lessicali, farli propri ed inserirli nel suo abbecedario linguistico, dal Caravaggio, vessillo del miglior naturalismo italiano, prende a prestito soprattutto le tematiche, declinandole in forme post-cubiste, o per meglio dire del Picasso di Guernica.
L’utilizzo del lessico cubista è certo congeniale per Del Casino, poiché permette di scompaginare i canoni della visione ‘tradizionale’ dando la possibilità di mostrare, e quindi vedere, le cose da più punti di vista contemporaneamente. Va da sé che tutto ciò ha un valore non solo stilistico ma più propriamente concettuale: rendere più efficacemente la complessità del reale.
Il rapporto col cubismo è ulteriormente rinsaldato dal comune sguardo alla cultura artistica tribale che si fa particolarmente evidente nelle sculture di Del Casino, dove la ripresa di certe soluzioni espressive ‘essenziali’ è funzionale alla comunicazione del messaggio.
Del Casino, così, elabora un linguaggio che mira a narrare la condizione umana; la sua arte, allora, non deve essere letta come un semplice compiacimento estetico ma in quanto prodotto della società che la genera, di conseguenza intrisa di riferimenti antropologici.
Claudia Mennillo